Cronaca di una morte annunciata

Breve storia dell’Università italiana attraverso i decreti attuativi 
del passaggio dal dm 509/99 al dm 270/04 

Come ogni tragedia anche la nostra storia inizia con le migliori intenzioni: riformare un sistema universitario decadente, renderlo comune all’intera Europa, far fronte alla diminuzione degli studenti che decidono di iscriversi dopo le scuole secondarie. Con questi propositi, più o meno sinceri, si è elaborato il primo “nuovo ordinamento” con il dm 509/99, quello che ha fondato l’ormai assodato 3+2 (ossia laurea triennale e laurea specialistica) e che tuttavia è crollato sotto l’autonomia degli Atenei. Cosa è successo? Semplicemente, lasciando inalterati (se non diminuendoli) i finanziamenti agli Atenei italiani (FFO) e attribuendo a questi enti pubblici (quindi ai professori, spesso (troppo spesso) baroni, la possibilità di gestirli come meglio credevano. I soldi sono terminati grazie agli avanzamenti di carriera e a quel principio di concorrenza tra le Università, viste come aziende, che ha condotto a una sempre più ricercata differenziazione anche a costo di aprire corsi di laurea come “Tecniche equine”, in modo da attirare sempre più studenti, dunque denaro, per finanziare la macchina baronale. Tuttavia questo meccanismo si è ben presto rivelato un circolo vizioso: una maggiore differenziazione dei corsi di laurea non può che portare a ulteriori assunzioni di personale docente, quindi a una maggiore spesa che doveva essere ammortizzata in qualche modo. Solo che di modi non ce ne sono, poiché, come abbiamo detto, il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (MIUR) ha bloccato ogni aumento dei fondi a disposizione. Oltre a questa irrazionale gestione degli Atenei – innegabile a livello nazionale – il dm 509/99 è in se stesso fonte di danno nell’Università italiana: il 3+2, il cui proposito era quello di diminuire gli anni necessari a una formazione superiore accreditando una laurea (e il titolo dottorale) in 3 anni invece che 4, si è rivelato un perverso meccanismo di allungamento dei tempi poiché la stragrande maggioranza degli studenti decide di continuare la propria carriera nella specialistica: e ciò deriva dalla mancata accettazione e spendibilità nel mondo del lavoro del titolo di laurea triennale, fatto di cui i legislatori del 1999 non si erano, a quanto pare, preoccupati se non con una cieca fiducia nelle imprese. Ad oggi una laurea triennale vale poco più di un diploma liceale: e la tendenza che si registra, come vedremo, è quella di appiattire il triennio universitario al biennio scolastico, in una mediazione al ribasso ormai tristemente presente in pressoché tutti gli ambiti della nostra società. La decennale tragicommedia dell’Università italiana inizia con l’ammissione dei problemi insiti nel dm 509/99, e quindi con la necessità di rimediarvi. E’ questa la bizzarra storia del passaggio al dm 270/04, elaborata da ben tre ministri di due schieramenti politici diversi (ma con le medesime e perspicue finalità) e che possiamo chiamare Riforma Moratti-Mussi-Gelmini. Nella sua attuazione si riscontra un cambio di paradigma da parte del governo (dei governi): se nel ministero Moratti c’era ancora, forse, la speranza di sanare la difficile situazione dell’Università, con gli ultimi due governi si è passati a porre le basi i un percorso in cui gli italici Atenei hanno solo tre opzioni: chiudere, accorparsi, diventare privati, con eventuale unione delle due ultime opzioni. Dato che è questo cambiamento di atteggiamento ciò che è per noi fondamentale, non possiamo che iniziare il nostro resoconto e la nostra analisi dal decreto 544/07, firmato Mussi, che delinea i criteri per l’attuazione del nuovissimo ordinamento 270/04 attraverso l’individuazione di requisiti minimi detti “necessari” per l’apertura dei nuovi corsi. Procederemo poi con l’analisi della legge 133/08, contenente l’opzione “fondazione privata” e il blocco dell’assunzione di nuovi professori, seguita da un breve cenno alla legge 1/09 per giungere alla nota ministeriale 160 del 4 settembre scorso fino all’ultimo disegno di legge dell’Ottobre 2009. Questo excursus di leggi, sebbene possa apparire alquanto noioso, speriamo possa rendere evidente anche a te come l’Università italiana navighi in acque torbide, o meglio in sabbie mobili in cui i partiti sperano di banchettare. Buona Lettura… 



Il decreto ministeriale 544/07 del 31 ottobre 2007 (decreto Mussi sui requisiti necessari) fornisce i criteri per l’attuazione del passaggio dalla normativa 509/99 al nuovo ordinamento 270/04. Il decreto ministeriale del passato governo Prodi istituisce una serie di requisiti minimi che i vari atenei devono soddisfare per poter continuare la propria attività. E' bene tenere presente come questa riforma Mussi abbia prodotto un enorme ridimensionamento dei corsi di laurea, accorpamenti e tagli che saranno effettivi dal biennio 2009/10. I requisiti del Ministro Mussi sono divisi tra requisiti necessari e requisiti qualificanti: i primi sono quattro (di trasparenza, di assicurazione della qualità, di strutture e docenti di ruolo, di numerosità degli studenti per ogni corso), mentre i requisiti qualificanti sono sette, per i quali ogni Ateneo si deve impegnare nel conseguimento di almeno cinque di essi. I requisiti relativi alla trasparenza (art. 2 dm 544/07) si esplicano in informazioni da inserire nei regolamenti didattici d'ateneo (RAD) e nell'offerta formativa (Off.F.) affinché permettano, come il nome indica, una maggiore trasparenza dell'università come istituzione verso l'esterno (studenti, famiglie, cittadini). I requisiti di assicurazione della qualità (art. 3 dm 544/07 e allegato A) sono suddivisi tra indicatori di efficienza e indicatori di efficacia, i quali verranno utilizzati dai nuclei di valutazione per saggiare la sussistenza dei livelli di qualità. Indicatori di efficienza : 
  • l’impegno medio annuo effettivo per docente e il numero medio annuo di crediti acquisiti per studente
  • il numero di studenti iscritti e frequentanti il corso di studi 
  • l’adozione di un presidio d’Ateneo,volto ad assicurare la qualità dei processi formativi 
  • la regolarità dei percorsi formativi (tasso di abbandono tra primo e secondo anno, numero medio annuo di crediti acquisiti per studente, percentuale annua di laureati nei tempi previsti dal corso di studio). 
Indicatori di efficacia:
  • gli strumenti di verifica della preparazione ai fini degli accessi ai corsi di studio 
  • il livello di soddisfazione degli studenti nei riguardi dei singoli insegnamenti 
  • il livello di soddisfazione dei laureandi sul corso di studio 
  • la percentuale di impiego dopo il conseguimento del titolo, attraverso il rapporto tra occupati e laureati a 1, 3 e 5 anni. 
Si noti come tra gli indicatori di efficienza si riscontri il vincolo al numero di iscritti al corso di laurea, fatto questo che penalizza quei corsi che, come Fisica o Matematica, hanno un'effettiva importanza formativa, fondamentale per la società, ma che spesso contano pochi iscritti. I requisiti relativi alle strutture e alla docenza (art. 4 dm 544/07) sono il fulcro della “Riforma Mussi” in questo decreto ministeriale: dopo aver posto un tetto massimo di esami per i corsi di laurea (20 per la triennale e 12 per la specialistica, cosa di per sé non sbagliata ma volta al miglioramento della qualità formativa) i requisiti sulla docenza vincolano la didattica dell'Ateneo ai contratti cui sono sottoposti i professori, impedendo l'apertura del corso di laurea che non soddisfi tali requisiti. Si impone la copertura di almeno il 50% delle cattedre dei corsi facenti parte dei settori scientifico-disciplinari caratterizzanti il corso di laurea con docenti di ruolo, pena l'impossibilità di aprire il corso di laurea stesso. Questo requisito, che in teoria avrebbe dovuto, almeno nelle intenzioni, incentivare le assunzioni e le stabilizzazioni dei docenti è stato, nella pratica e nell'effettiva situazione di mancanza di fondi destinati all'Università pubblica, un terremoto didattico che ha portato, su tutto il territorio nazionale, a un annichilimento della didattica e dei corsi di laurea, accorpati e sempre meno specialistici, specialmente negli Atenei di piccole e medie dimensioni (caso emblematico a Siena è stato l'accorpamento delle triennali di Filosofia, Antropologia e Storia in un unico CdL che, data la sua vaghezza, difficilmente potrà portare nuovi studenti, e che, come vedremo con la nota 160, neppure potrà esistere dal prossimo anno accademico). Questo abbassamento della didattica – fulcro stesso dell'Università insieme alla Ricerca–  innesca una spirale viziosa per la quale i grandi atenei, che possono offrire corsi di laurea specializzati data la maggiore disponibilità di risorse umane ed economiche, attireranno sempre più studenti sancendo la progressiva scomparsa o limitazione degli altri atenei. E su questo punto il blocco del turn-over postulato dalla legge 133/08 e l’inasprimento dei requisiti prefigurato dalla nota 160 sancisce il crollo dell'Università Pubblica italiana. I requisiti relativi alla numerosità degli studenti per ogni corso (allegato B, art. 6 del dm 544/07) pongono delle tabelle di riferimento sulla media auspicabile degli iscritti per ogni corso di laurea: se tali iscritti sono inferiori del 20% per le triennali e del 10% per le specialistiche sarà compito dei nuclei di valutazione giudicare l'effettiva rilevanza per cui tali corsi debbano restare attivi, oppure decretarne la chiusura. Anche questi requisiti, come quelli sulla docenza, producono una limitazione effettiva dell'offerta didattica dei piccoli e medi atenei nonché una polarizzazione degli studenti sulle Università più facoltose. Oltre a questi requisiti necessari (ossia vincolanti l'apertura stessa di un corso di laurea) vi sono sette requisiti qualificanti (allegato C del dm 544/07), di cui almeno cinque devono essere rispettati dall'Ateneo:
  1. il numero medio di CFU acquisiti nell’anno di riferimento da ciascuno studente è superiore al valore mediano nazionale dei corsi della stessa classe; 
  2. la percentuale di insegnamenti coperti da docenza di ruolo, espressa dai relativi CFU acquisibili dagli studenti, è superiore al valore mediano nazionale 
  3. la percentuale degli insegnamenti in cui viene rilevato il parere degli studenti è superiore al valore mediano nazionale 
  4. sono state previste procedure per la verifica dei requisiti richiesti per l’ammissione degli studenti ai corsi di studio e sono state predisposte attività formative propedeutiche e di recupero per eventuali obblighi formativi; 
  5. è previsto un sistema di valutazione della qualità delle attività svolte, diverso dalla sola raccolta delle opinioni degli studenti frequentanti; 
  6. sono state predisposte specifiche modalità organizzative della didattica per studenti iscritti part-time, in quanto impegnati in attività lavorative; 
  7. è disponibile almeno un tutor per ogni 30 studenti immatricolati ai corsi dei gruppi A e B dell’allegato B, un tutor ogni 60 studenti immatricolati negli altri gruppi di cui alle tabelle 8-9-10. 
Va detto fin da subito come il dm 544/07 provveda, in determinate circostanze, ad ammorbidire i criteri qui esposti: una situazione che il ministro Gelmini sta provvedendo a terminare (vedi nota 160).



La legge 133/08 è formata, per quanto riguarda l'Università pubblica, da tre nodi tematici: il blocco del turn-over (assunzione di nuovi docenti al pensionamento dei professori), il taglio dei finanziamenti pubblici agli Atenei e la possibilità di questi di passare a fondazioni di diritto privato (privatizzazione dell'Università). I tagli complessivi al Fondo di Finanziamento Ordinario (FFO, ossia i finanziamenti che lo Stato pubblico da alla sua Università Pubblica, ossia di tutti!) sono pari a 1.441.500 euro per i prossimi cinque anni (art. 66, comma 13 della legge 133/08). In dettaglio: 2009 - 63,5 mln 2010 - 190 mln 2011 - 316 mln 2012 - 417 mln 2013 - 455 mln Il taglio è estremo: se già la situazione della maggioranza degli Atenei italiani è critica, questo ridimensionamento dei finanziamenti appare come una scure che decapita l'Università pubblica. Vedremo nelle pagine seguenti in perché di questa drastica diminuzione… Questa serie di tagli sconsiderati al FFO sono accompagnati dal blocco del turn-over al 20% (art. 66 commi 3, 7 e 9 della legge 133/08): ciò significa che per ogni cinque professori che vanno in pensionamento ne verrà assunto solo uno. Il blocco delle assunzioni pregiudica in primo luogo tutti quei lavoratori precari del mondo accademico (contrattisti, assegnisti e dottorandi) che vedono allontanarsi se non scomparire la possibilità di una regolarizzazione nell'Università. Ma c'è un ulteriore livello su cui va a svilupparsi: quello della didattica. Come abbiamo visto il dm 544/07 sancisce come requisito minimo per l'apertura di un corso di laurea la copertura di almeno il 50% delle cattedre concernenti le materie caratterizzanti e di base da parte di professori di ruolo. Già questo ha comportato l'accorpamento tra corsi e la chiusura di altri corsi di laurea: ma il blocco del turn-over decreta la definitiva morte della didattica negli Atenei pubblici! Se infatti molti corsi non hanno la possibilità di andare avanti se non con numeri esigui di professori di ruolo che possano assicurare l'apertura del detto corso, bloccando le assunzioni si avrà nei prossimi anni la chiusura di decine di corsi di laurea per mancanza di docenti che ne garantiscano i requisiti minimi. Questo comporta, insieme al drastico ridimensionamento dei fondi, la progressiva estinzione dell'Ateneo, ossia la sua chiusura. Ma su questo terreno la legge 133/08 dà la sua svolta: l'essenza stessa della legge, il suo essere riforma, sta nella possibilità per l'Ateneo di trasformarsi in fondazione di diritto privato (art. 16 commi 1, 2 e 6 della legge 133/08), ossia di divenire un'Università Privata. Questa, più che una possibilità, diventa una necessità per gli Atenei: se vorranno evitare la chiusura intimata dal perverso meccanismo di requisiti minimi, blocco del turn-over e finanziamenti pressoché inesistenti, l'unica strada da percorrere sarà quella di privatizzarsi, diventando industria del sapere nel senso dispregiativo del termine. Infatti, diventata Università privata, l'Ateneo: 
  1. trasferirà senza pagare tasse e gratuitamente tutti i suoi beni immobili alla Fondazione privata 
  2. sarà guidato da un Consiglio d'Amministrazione (che priverà il Senato accademico della sua funzione politica) identico a quello di un'industria che, come tale, guarderà al profitto capitalistico invece che alla formazione dello studente (mercificazione dei saperi) 
  3. diventato industria del sapere, priverà gli studenti, i ricercatori e i lavoratori (settore tecnico-amministrativo) dei propri diritti, salvaguardando solo i professori (ancora una volta “baroni”) che rimarranno sotto la tutela dello stato. Ciò comporterà un aumento spropositato delle tasse sul modello americano (media delle tasse negli Stati Uniti: 30.000 dollari per ogni anno) in quanto non saranno più vincolate al 20% del FFO ma poste liberamente dalla fondazione provata 
  4. utilizzerà gli studenti per i propri fini di mercato, come “merci per la ricerca”: si prospetta l'ingresso di industrie nelle fondazioni per trarne un vantaggio competitivo a costo zero, ossia utilizzando gli studenti per la ricerca come lavoratori non pagati (esempio: la Bayer entra in una fondazione universitaria e impone agli studenti la ricerca sul medicinale x per trarne un vantaggio senza pagare come avrebbe fatto con ricercatori assunti nella stessa industria) 
  5. priverà i professori della propria libertà d'insegnamento: i docenti verranno indirizzati su una linea ideologica che penalizzerà gli studenti 
  6. chiuderà, come è prevedibile, i corsi di laurea che non siano spendibili sul lavoro produttivo e immediato: per quale motivo la Fiat o un Monte dei Paschi dovrebbero pagare professori che tengano un corso di laurea in Filosofia o in Odontoiatria?! 
A tutto ciò va aggiunto come gli Atenei privatizzati, i quali avranno la possibilità di avere un’offerta didattica maggiore, diventeranno Atenei di serie A mentre gli altri si vedranno svalorizzati come Atenei di serie B: la spendibilità delle lauree seguirà questa tendenza, cosicché ogni studente potrà trovarsi con una laurea che non varrà più nulla, carta straccia, come effetto retroattivo della svalutazione delle Università rimaste pubbliche. Ciò è sancito dal progetto bi-partisan per l’abolizione del valore legale della laurea, per il quale ogni laurea conseguita in un Ateneo italiano ha un valore riconosciuto legalmente. Allo stesso tempo lo Stato, che nella propaganda governativa dovrebbe risparmiare con questo passaggio degli Atenei da pubblici a privati, si troverà:
  1. a finanziare con soldi pubblici (FFO) una industria privata (ulteriore regalo del governo Berlusconi alle industrie, dopo Alitalia e i soldi per coprire gli affari “sporchi” delle banche) 
  2. a svendere il futuro dei propri figli per un profitto capitalista di pochi, che porterà ad una nuova ed ulteriore polarizzazione economica e sociale, segregando ancora di più i giovani nel precariato, in quanto disincentiva la formazione e, con le tasse universitarie fuori controllo (adesso il tetto massimo è fissato al 20% del FFO, con il passaggio a fondazione privata non vi sarà più alcun limite) è probabile che la maggioranza dei cittadini non potrà permettersi la formazione superiore. 
  3. a violare la Costituzione, che sancisce il diritto per tutti di giungere a una formazione ai più alti livelli (art. 34) 
  4. ad allontanare dal suolo nazionale coloro che vorranno fare una ricerca libera o che vorranno entrare nel mondo accademico come lavoratori del sapere 
  5. a creare masse ignoranti di cittadini facilmente gestibili dalla retorica politica populista, senza spirito critico: mercificazione delle masse politiche! 
Come si nota chiaramente tutto ciò è parte di un disegno ben più grande, che comprende tutta la società, di oggi e di domani: la volontà, ancora una volta, dello Stato Politico Capitalista, di destra come di sinistra, di massificare la popolazione nell'ignoranza per evitare che i cittadini abbiano gli strumenti critici per comprendere la propria situazione e quindi ribellarsi ai gerarchi presuntamente democratici che li comandano. E' la svendita del sapere, ormai mercificato, e del futuro di tutti noi e dei nostri figli, della nostra nazione e del nostro mondo: tutto per il bene di quella “casta indiscreta e trasversale” composta da politica, finanza, industria e presunta cultura (quella servile e complice, ormai maggioranza) che utilizzano la forza della censura e della violenza contro la forza delle idee e dell'emancipazione di tutti.





La nota 160/09 sugli “ulteriori interventi per la razionalizzazione e qualificazione dell’offerta formativa nella prospettiva dell’accreditamento dei corsi di studio" è una sorta di piano programmatico con il quale il ministro Gelmini ci avvisa che siamo solo all’inizio della tragedia… Il documento ministeriale si apre con una pesante analisi dell’Università italiana, in piena decadenza, e ci racconta a suo modo la stessa triste storia dell’attuazione della 270/04 che anche noi abbiamo fin qui trattato. Sebbene, di primo acchito, possa sembrare una proficua ammissione di colpa, questo inizio è volto a delineare gli obiettivi dei futuri smantellamenti: i corsi di laurea, i curricula, i corsi di studio, le sedi decentrate, la docenza. In un’unica parola, la didattica presa in senso ampio. L’obiettivo postosi dalla Gelmini è triplice, almeno all’apparenza: determinare “l’offerta formativa effettivamente sostenibile”, migliorare le condizioni per la mobilità degli studenti (ossia che uno studente di Siena possa decidere di andare a studiare a Parma, senza problemi burocratici: obiettivo onorevole, se non fosse attuato attraverso la chiusura di molteplici CdL e Atenei!!), la qualità e quindi l’aderenza ai protocolli europei di Bologna e Lisbona (molto meno onorevoli…). Per ogni obiettivo il MIUR fornisce un corposo allegato in cui si indicano i modi per perseguirlo: ovviamente non tramite invito alle Università, ma come progetti di leggi e decreti che verranno approvati entro fine anno!! Seguiamo la trattazione ministeriale. Primo obiettivo – L’offerta formativa effettivamente sostenibile (allegato A) Nel definire il primo obiettivo, la ministra lombarda ci ricorda il fine della 544/07, che Mussi aveva sponsorizzato come provvedimento per la stabilizzazione delle cattedre. Merita di essere citata, la Gelmini: occorre peraltro ricordare che lo scopo dei requisiti minimi non era quello di definire uno standard di qualità dei corsi di studio, ma semplicemente quello di porre un freno all’eccessiva proliferazione dell’offerta formativa. Con il passaggio alla 270/04 i corsi sono effettivamente diminuiti: 1047 corsi di studio in meno tenendo conto del 70% dei passaggi al nuovissimo ordinamento! Tuttavia “il risultato conseguito, per quanto sicuramente apprezzabile, non appare ancora sufficiente”. Riflettete per trenta secondi sui corsi che avevate a disposizione l’anno accademico passato e quelli odierni. Poi rileggete la citazione ministeriale. Quindi il MIUR non può che provvedere inasprendo i requisiti necessari di Mussi. Ecco la distruzione della didattica nazionale in sei punti: 

  1. dato che il dm 544/07 risultava morbido nel compimento dei requisiti necessari di docenza, permettendo alcuni sconti in casi particolari, il MIUR elimina ogni sconto nei suddetti requisiti. 
  2. Oltre ad alcuni sconti, in casi particolari le Università potevano, grazie all’individuazione di piani di raggiungimento dei requisiti necessari, non attuare fin da subito i tagli necessari. Questa possibilità garantita dalla 544/07 è cancellata dal ministro Gelmini. 
  3. Sempre il decreto Mussi concedeva alle Università il conteggio di docenti il cui concorso era “in itinere” nel computo totale dei requisiti di docenza. Ovviamente anche questa possibilità è stata cassata dal MIUR 
  4. Secondo il dm 544/07, come abbiamo visto, venivano posti dei limiti minimi alla presenza di studenti per aprire un corso di laurea: con le tabelle alla mano, tali limiti sono di 10 immatricolati per un CdL triennale e 6 per uno magistrale. Possono sembrare numeri esigui eppure, specialmente per le Facoltà scientifiche, sono numeri frequenti, in particolare per la magistrale. Il MIUR si pone come obiettivo di innalzare il numero minimo di studenti necessari e chiudere tutti i corsi di laurea con un livello inferiore. Le Università che, nonostante soddisfino questi requisiti, non vi si allontanano abbastanza, verranno penalizzate attraverso il FFO (finanziamento statale). 
  5. Con il punto cinque si scivola nel dramma satiresco, con il colpo finale sferzato, inaspettatamente, contro i curricula. Come risulta evidente, nell’attuazione del passaggio al dm 270/04 e i necessari tagli ai corsi di laurea, si è cercato di reintegrare quest’ultimi in corsi più grandi, definendoli come curricula. Esempio di questo è il CdL in Scienze umane, al cui interno sono stati posti sotto forma di curricula i CdL ex-509/99 in Filosofia, Antropologia e Storia. Ciò è successo anche negli altri Atenei, e il governo non poteva non accorgersene e quindi provvedere. Recependo come obbligo quella che prima era una possibilità data alle Università, il MIUR impone ai curricula di un unico CdL che si differenzino tra loro per 40 o più crediti formativi per le triennali e di 30 per le magistrali, di trasformarsi in Corso di Laurea a se stante!! Ciò significa che Scienze Umane, i cui curricula si differenziano per molti più crediti, non potrà più esistere ma dovrà tornare ad essere tre CdL diversi: posto che ciò è impossibile per gli stessi motivi che hanno portato all’accorpamento di questi tre corsi, Scienze Umane dovrà limitare la propria offerta impedendo che la differenza di cfu tra Storia, Antropologia e Filosofia sia maggiore di 40 crediti! Altrimenti dovrà chiudere il CdL! Come appare chiaro tutto ciò è di estrema gravità, specialmente per le Facoltà umanistiche e scientifiche, composte da piccoli CdL molto diversi tra loro. Inoltre, nel computo dei docenti stabili, per quei corsi con più curricula verrà imposto un incremento di due docenti come requisito necessario. 
  6. L’ultimo punto è forse il più tragico, e riguarda direttamente i requisiti necessari per la docenza. Come abbiamo visto, nel dm 544/07 è posto come tetto minimo per l’apertura di un CdL la copertura di almeno il 50% delle cattedre dei settori di base e caratterizzanti da parte di professori di ruolo. Abbiamo altresì notato come sia questa la principale origine degli accorpamenti. Ora, il ministero pone come requisito necessario la copertura del 60% delle cattedre per arrivare, nel 2013/14, ad un distruttivo 70 %! Gli effetti di questo provvedimento sono di gravità estrema, e si dovrà provvedere a ulteriori enormi accorpamenti, non più specificabili – come detto sopra – in curricula. 
Oltre a questi punti, vengono evidenziati altri nodi problematici su cui il MIUR intende correggere la tendenza. Vi troviamo la bizzarra – quanto pericolosa – idea di quantificare le ore massime di didattica effettivamente disponibili per ogni Ateneo (utile per sostenere che un CdL non può essere aperto), innalzare il numero minimo di cfu per esame e cancellare i moduli interni agli esami con un basso numero di cfu. Secondo e terzo obiettivo (allegati B e C) Per favorire la mobilità degli studenti, oltre a chiudere una pluralità di Atenei, il ministro Gelmini vede la necessità di omogeneizzare l’organizzazione didattica tra le Università, in un accentramento decisionale su cui è ancora presto per dare giudizio. Oltre a ciò il MIUR si propone di ripensare il Diritto allo Studio, in modo tale da fornire gli strumenti per una reale copertura delle borse e la costruzione delle residenze universitarie: peccato che tutto ciò debba essere “a costo zero”!!! Per quanto riguarda il terzo obiettivo, relativo alla qualità dei servizi, si utilizza la vecchia, efficace minaccia: gli Atenei che non rispettano a pieno i requisiti necessari nella versione gelminiana non avranno i finanziamenti, che verranno dirottati sugli Atenei più qualificati. Ciò comporta, ovviamente, un circolo vizioso per il quale un Ateneo che non ha risorse sufficienti per rispettare i requisiti necessari, avrà ancora meno fondi, quindi minore possibilità di adeguamento. Se vi si aggiunge il blocco del turn-over e i tagli dei finanziamenti posti dalla 133/08, si carpisce la gravità del disegno eversivo del governo. Il ddl Gelmini Per quanto riguarda il ddl Gelmini presentato il 22 ottobre 2009, vi vengono poste le necessarie modifiche agli statuti degli Atenei in materia di governance (ossia di ordinamento della gestione dell’Università) e di assunzioni di personale docente e ricercatore. Inoltre vi ritroviamo un ridicolo Fondo per gli studenti meritevoli, costituito da elemosine date da singoli o istituti. Ma andiamo per ordine. Per quanto concerne la governance, si assiste all’annunciato annichilimento del ruolo del Senato accademico in favore del Consiglio di Amministrazione, che diventa ipso facto il principale organo di gestione dell’Ateneo, composto per la maggior parte da membri esterni, specialmente da personalità rinomate per la loro managerialità. Così l’Università si trasforma definitivamente in impresa, e il CdA potrà decidere di chiudere corsi e sedi, assumere professori oppure no, il tutto guidato dall’ottica della sostenibilità (finanziaria) che nasconde il vero fine: il profitto! In questo contesto il Senato accademico ha un ruolo per lo meno subordinato al Consiglio d’Amministrazione, cui resta l’ultima parola, e che vede al suo interno l’anacronistica figura – fantozziana – del “Direttore Generale”, vero e proprio manager dell’Ateneo, sebbene senza diritto di voto in CdA. Si passa poi alla gestione delle Facoltà, con un’inattesa novità: il requisito minimo di docenza per il numero di Facoltà! Ossia: per le Università con meno di 1500 docenti e ricercatori si ha un massimo di 6 Facoltà, per quelle tra i 1500 e i 3000 si passa a 9 Facoltà e per gli Atenei con più di 3000 docenti si ha il limite massimo di 12. Ciò significa accorpare le Facoltà!!!!
Per concludere il Titolo Primo del disegno di legge troviamo l’articolo 3, “Federazione e fusione di Atenei e razionalizzazione dell’offerta formativa”. Questo articolo, come dice il nome, sancisce la possibilità per gli Atenei di fondersi tra loro in maxi-Atenei, specificando che ciò si rende necessario per gli accorpamenti e le chiusure dei corsi poste dai requisiti ministeriali (comma 6). Inoltre, cosa alquanto inquietante, troviamo al comma 2: La federazione può avere luogo altresì tra università ed enti o istituzioni operanti nel settore della ricerca e dell’alta formazione. Considerando che aziende multinazionali, come ad esempio la Novartis, hanno centri di ricerca molto avanzati, come dobbiamo interpretare queste parole? Forse alla luce della fondazione privata della legge 133/08? Sono domande retoriche: è chiaro il disegno governativo (parlamentare, data la sua trasversalità) volto a far entrare il privato (le aziende) nell’Università, sia attraverso il CdA, sia attraverso Fondazioni o “federazioni”. La sinteticità del comma 2 dell’articolo 3 è, in questo caso, simbolica. Ma torniamo alla questione dei maxi-Atenei: per quanto riguarda l’Università di Siena questa opzione era stata avanzata l’anno passato, durante la crisi post-buco finanziario, dalla CGIL, così come da eminenti membri della maggioranza politica della Regione (centrosinistra: PD e seguaci). A tutto ciò ha fatto seguito il Protocollo di Intesa tra le Università di Siena, Firenze e Pisa con la Regione “per la definizione di un programma di azioni volto a rafforzare il legame tra atenei, istituzioni e società”, dove leggiamo all’articolo tre: La Regione promuove, tramite un organismo [???] cui partecipano le Università, il coordinamento tra i programmi settoriali di ricerca sostenuti con fondi regionali e le complessive attività di ricerca svolte nell’Università, nonché gli interventi di valorizzazione dei relativi risultati, secondo le leggi regionali in materia. Ecco servita la fondazione, ecco pronto il futuro accorpamento, sponsorizzato dal PD + amici e dal governo di destra!!! Ma torniamo al ddl Gelmini. Occorre soffermarci un attimo all’articolo 4 “Fondo per il merito”. Il MIUR ha infatti posto in essere, almeno teoricamente, un Fondo atto a finanziare gli studenti meritevoli con borse di studio e gli stramaledetti prestiti d’onore. Ma come viene finanziato questo fondo? Eccola, la citazione: Il fondo speciale è alimentato con trasferimenti pubblici e con versamenti effettuati a titolo spontaneo e solidale effettuati da privati, società, enti e fondazioni, anche vincolati, nel rispetto delle finalità del fondo, a specifici usi. Ancora: quali usi può volere una fondazione privata dal finanziamento a uno studente particolarmente meritevole? Ovvio, i diritti sulla ricerca e l’indirizzo della stessa!! Altrimenti provvederanno le elemosine che gli italiani spontaneamente invieranno al Fondo ministeriale… Infine, la parte del disegno di legge che ci coinvolge direttamente si conclude con l’Articolo 5 del Titolo II, in cui è sancito il commissariamento dell’Ateneo in dissesto finanziario (ahi!), più volte minacciato in passato e forse in via d’arrivo per la nostra Università. Una morte lunga e dolorosa La lettura del nostro quaderno esplicativo avrà dimostrato quello che dicevamo nell’introduzione: l’Università pubblica deve essere smantellata per costringerla alla svendita a privati oppure a insensati accorpamenti, pena la chiusura. Qualcuno ingenuamente potrebbe chiedersi: e perché? Perché vogliono distruggere il nostro sistema universitario, invece di ristrutturarlo, magari ripensarlo e potenziarlo? Solo per i soldi? No, non solo per i soldi. E’ senz’altro vero che per questo Governo è fondamentale il profitto, preso in senso lato, ossia “più profitto per tutti, è l’economia di mercato!”. Ma c’è di più. Ogni giorno veniamo bersagliati da notizie e informazioni che sono quanto di più prezioso abbiamo per poter decidere di scegliere la nostra vita, chi siamo e dove andiamo. Tuttavia, per comprendere questa massa di input è necessaria una facoltà di discernimento, di selezione delle informazioni, le vere dalle false, le importanti dalle futili: senza questa razionalità di fondo tutto diventa omogeneo, equivalente, statico; come di plastica. Un mondo falso per persone non più vere. L’Università, così come la Scuola e, in senso più ampio, l’intera cultura, serve a costruire questa consapevolezza di sé e degli altri, necessaria a giudicare ciò che ti circonda: la tua vita, il tuo paese, il tuo mondo. Se viene meno questa coscienza, se crolla la possibilità di avere quelle informazioni così necessarie per poter scegliere per il meglio, allora viene meno la stessa libertà degli individui.

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